giovedì 20 aprile 2017

RECENSIONE: Caro tu. Lettere segrete mai spedite



TITOLO: Caro tu. Lettere segrete mai spedite

AUTORE: Emily Trunko

EDITORE: De Agostini

COLLANA: Il grillo parlante

PUBBLICATO: 04/04/2017

PAGINE: 224

PREZZO: €14,90








TRAMA

Avete mai scritto una lettera che non avete avuto il coraggio di spedire, per vergogna, per rabbia, per rassegnazione oppure semplicemente perché sentivate che non era il momento giusto per farlo? Non siete gli unici! Una ragazza americana di nome Emily Trunko ha deciso di dare ascolto ai messaggi rimasti senza voce, e ha aperto un Tumblr: un sito che nel giro di pochi mesi ha acquistato un'incredibile popolarità (dearmyblank. tumblr.com). "Caro tu" è la raccolta dei messaggi più belli e intensi che molte persone hanno postato sul sito di Emily; una galleria di lettere romantiche, arrabbiate, strappalacrime, divertenti, struggenti, con una caratteristica comune: tutte hanno un destinatario che non le ha mai ricevute. Il risultato è un sorprendente arcobaleno di emozioni, un'antologia di sentimenti che arrivano dritti al cuore di chi legge.

RECENSIONE

Devo confessarvi che ho ricevuto questo libro dalla Casa Editrice (che ringrazio di vero cuore) un giorno prima della pubblicazione, ed ho terminato lo stesso giorno la mia lettura. Poi per problematiche private posso parlarvene solo ora e mi scuso per questo.
Non posso sicuramente dirvi che è un libro impegnativo, ma posso assicurarvi che è un libro bellissimo.
Diciamo che chiunque si rispecchia in questo libro, impossibile non ritrovare similitudini con la nostra vita e poi ora chiedo io a voi: “avete mai scritto una lettera o messaggio a qualcuno e poi non l’avete inviata?”, io sì, più di una volta. Bene diciamo che Emily, una ragazza di sedici anni ha deciso di aprire uno spazio su Tumblr chiamato "Dear My Blank”, un po’ per gioco, un po’ per scherzo, ha preso subito piede ed è stata inondata di email e messaggi mai inviati al destinatario.
La prima lettera che ci viene sottoposta è rimasta per me la più bella dell’intero volume, è insuperabile e piacerà anche voi ne sono certa. È la lettera scritta da una studentessa al suo professore, una lettera sentita e appassionata, una lettera d’amore e ammirazione, che mi ha lasciata interdetta (in senso positivo ovviamente).
Ho letto lettere lunghe, corte, frasi brevi e quelle che io ho definito vere e proprie poesie, poi pensieri su altri o su se stessi, riflessioni e insomma di tutto, ma ciò che in realtà mi ha sorpresa è stato leggere le risposte. Sì, perché alcuni fortunati sono stati letti del destinatario della lettera, quello vero, che capendo che la lettera era destinata a lui/lei ed ha deciso di rispondere.
Sono morta dalle risate soprattutto con una lettera, che in realtà è più un elenco. Già, una ragazza ha deciso di scrivere un elenco di cose che un’amica non dovrebbe fare, il destinatario della lettera era la sua migliore amica. Vi spiego un po’, praticamente l’amica a cui era destinata la lettera ha cercato spudoratamente di rubare il ragazzo della sua amica, poi diventato ex proprio per colpa sua. Lei l’elenco lo ha scritto, purtroppo è arrivata tardi ed ha perso il suo fidanzato e la sua migliore amica. Megan la tua amica era sicuramente meglio perderla che trovarla e per quel che serve troverai un ragazzo sicuramente migliore del precedente.
La lettera che mi ha fatto più riflettere? Era rivolta ad H ed era stata scritta da T, parlava di un secondo amore, perché il secondo amore è più doloroso del primo e nessuno se ne rende conto. Nonostante sia passato diverso tempo vi dico anche la pagina 30. ;)
Poi un bellissimo confronto mi ha spiazzata, ho letto di E che si è aperto ed ha scritto la sua lettera ad A, e come vi avevo precedentemente annunciato, ciò che poteva succedere è successo, nella pagina dopo la risposta di Emily ad Aeron, vi dico solo che ad un’algida come me son venuti gli occhi a cuoricino. Ho detto tutto!
Potrei andare avanti all'infinito, perché in realtà il libro l’ho letto in circa un’ora e mezza, ma mi è rimasto nel cuore. Ho adorato l’idea di Emily, ho adorato il fatto di aver dato uno spazio a tutte quelle persone che anche se in forma anonima hanno trovato il coraggio di buttarsi e scrivere, inviare le loro lettere e farle leggere a noi piccoli lettori del blog e del libro.
Grazie Emily per quello che hai fatto.
Consiglio questo libro a tutti! Mamme, regalatene una copia ai vostri figli adolescenti o adulti che siano… Nonne, leggetene qualche pagina per voi e per i vostri nipoti… Papà, la storia della buonanotte può anche essere una lettera anonima… Lettore, questo libro non ti racconterà una storia ma la vita, leggilo perché non sarà un classico, non sarà una storia d’amore né un thriller, ma sarà uno dei libri più belli che tu abbia mai letto!

Buona lettura
Baci
C.

Vincenzo Calò ci parla di Valerio Pedini

Valerio Pedini…

Valerio Pedini nasce il 16 giugno del 1995 ad Abbiategrasso in provincia di Milano.

Esattamente 18 anni dopo, Valerio, divenuto Gaio, senza onorificenze, decide di patrocinare il suo primo evento culturale, “Artiamo” , una mostra d’arte unita alla poesia e alla musica.

Nell’intermezzo ha iniziato a recitare, preferendo l’espressività del teatro di ricerca rispetto al metodismo popolare che comunque gli è utile per i suoi lavori sul movimento; a scrivere, pubblicando  in collaborazione col circolo narrativo AVAS Gaggiano, per le antologie “Tornate a casa se potete”, “Rigagnoli di consapevolezza”, “Ma tu da dove vieni?” (quest’ultima in collaborazione con Mambre).

Nell’ottobre del 2013 inizia il progetto “Non uno di meno Lampedusa”, insieme alla poetesse Agnese Coppola, Rossana Bacchella, Savina Speranza e alla narratrice Aurelia Mutti, con lo scopo di dare una voce poetica e artistica alla tragedia di Lampedusa (si sta preparando inoltre un’antologia).

A dicembre conosce Teresa Petrarca, in arte Teresa TP Plath, con cui inizia diversi progetti poetici: “La formica e la cicala”, “Essence”, “Pan in blues e in jazz”.

Ha contribuito a un progetto artistico diretto da Agnese Coppola, che tratta del doppio nell’arte, facendo studi teorici sulla poesia intesa come caos.

Inoltre ha lavorato per un libro di filosofia, che tratta della mediazione della paura di massa, e per una silloge poetica (“L’Impero dei non luoghi-luoghi comuni”).

Nel maggio del 2014 è uscita la sua prima raccolta poetica, con IrdaEdizioni: “Cavolo, non è haiku”, ed è stato inserito nell’antologia poetica Fondamenta Instabili (deComporre Edizioni) e successivamente sempre con deComporre Edizioni nelle antologie poetiche Forme Liquide, Scenari Ignoti, Glocalizzati, Ad limina mentis e, per la narrativa, Postmoderno Immaginario.

Suoi testi poetici e critici sono apparsi nel blog L’ombra delle parole curato da Giorgio Linguaglossa e nel blog di Francesco Filipponi, di cui è stato co-amministratore.

Suoi appunti critici sono comparsi inoltre su l’Osservatorio Letterario e su la rivista indipendente Antisociale (di cui è co-amministratore critico), sue poesie sono apparse sulla rivista nazionale Avanguardia e sulla rivista indipendente Rapsodia.

E’ comparso nell’antologia curata da Ambra SimeoneScrivere un punto interrogativo”.

Ha pubblicato la silloge Litanie, con prefazione di Ambra Simeone.

Allora Valerio, c’è qualcosa di strano nell’aria?
Considero la questione interessante solo da un punto di vista meramente relativo. Se non fossi uno studioso di sociologia, e un sintetizzatore storico, mi allarmerei e ti direi che non solo c’è qualcosa di strano nell’aria, ma che quel qualcosa di strano provoca un terribile afrore. Credo che i rimandi più doverosi siano da fare in questo a un crollo della società solidamente intesa, e a un crollo dell’idea del simbolo. Più o meno, come per la rappresentazione pop, il simbolo ripetuto ad nauseam rischia di dissolversi, per poi probabilmente costruirne un altro. Ricorda un po’ il passaggio tra Amon e Athon, insomma, è una transizione importante, probabilmente doverosa. Posso semplicemente ipotizzare, ma dire con fermezza quel che accadrà no. L’unica cosa certa è che, come al solito, ci sarà un bel pianto e tutto sarà come se non fosse mai successo.

Vai sempre dritto per le tue mete? 
Dritto, sbilenco, in diagonale, a balzi: qualche volta ci si ferma per pensare e poi ancora avanti. Sicuramente il termine “dritto” mal si addice a un artista e a uno studioso, anche a un uomo in generale, in quanto essere vulnerabile e volubile. Posso semplicemente dire però con fermezza, che, per creare un mio pensiero, mi sono sacrificato e ho perso spesso di credibilità, oltre ad aver perso molti cari. Un comune mortale mi direbbe che sono un coglione (lo penso anch’io), ma la mia maschera attorale mi dice che ho fatto bene eccome, perché almeno nel mio settore sto migliorando e sto raggiungendo piccoli obiettivi, che, fossilizzandomi in idee provvisorie, mai avrei agguantato. Quindi per i cliché io vado dritto verso i miei obiettivi, che sono in definitiva solo uno: la mia filosofia di vita.

E’ da stranieri incontrarti lungo un percorso?
Stranieri ai più, conosciuti ai meno. Apprezzo le minoranze. Poiché io sono una minoranza. Anche se in definitiva ti direi con una frase pirandelliana: “così siam tutti!”. Quindi autoironicamente più che da stranieri è da persone che hanno tanta pazienza, ah ah ah.

Si possono considerare certe avventure banali? Se sì allora quali sono?
A posteriori l’avventura più incredibile della vita può essere banalissima se in futuro se ne proietta un’altra. Ma sta di fatto che ogni avventura che possa in futuro risultare banale è un tassello che incide moltissimo quella grande struttura che è la nostra personalità, che per la gente era l’unica ma ch’è sempre molteplice: non esiste una soluzione unica, così come non esiste una personalità. Faccio un esempio: io da attore che sono ho sviluppato nel corso degli anni una passione incredibile per le maschere, e la personalità è nient’altro che una maschera in formato gigante che racchiude dentro sé, come la famosa bambola della fecondità, un insieme di maschere: da quella apatica, a quella comica, da quella dotta, a quella ignorante. Non esiste una personalità unica in noi, poiché è la somma delle avventure, ergo delle maschere che abbiamo indossato e che indosseremo. Ed è da maniacali ipocriti pensare che la faccia di Valerio non possa diventare un giorno la faccia dell’albero Eucalipto (tanto per sparare una troiata…!). Spesso parlo di cose che mi hanno deluso, ma mi hanno reso quello che sono, o meglio, quello che dico d’essere.

E’ possibile aggredire con le parole di un messaggio pubblico?
Beh, il messaggio pubblico è già di per sé un’aggressione. Ora dobbiamo capire solo che tipo di aggressione sia. C’è l’aggressione manipolante, ovvero quella rozzamente chiamata dai critici “democratica” (termine pomposo che potrebbe designare qualsiasi cosa), oppure l’aggressione che serve ad allontanare, a respingere. Io ho sempre preferito la seconda: ha una dimensione più profetica e più aggressiva. La prima è l’aggressione totale, ovvero la manipolazione delle menti. E’ un po’, senza offesa, quello che fanno i politici e i giornalisti. Gli attori, i poeti, gli scrittori tradizionalmente o respingono o manipolano: ci sono quelli più discreti che scrivono e basta, per loro. Alla fine tutto è utile, anche ciò che mi dà disgusto. Un esempio spiccio: se George W Bush non fosse stato presidente degli Stati Uniti, Carlos Fuentes non sarebbe diventato noto pigliandolo per il culo.

Denunciare vuol dire sconvolgere cosa di preciso?
Quel “preciso” mi suona come una minaccia. Ognuno denuncia quel cazzo che vuole. Non c’è una denuncia precisa, ci sono molteplici inclinazioni che si palesano denunce. Per me, però, che faccio arte di denuncia mi indirizzo in svariate direzioni, in una dimensione sociologica, antropologica, a volte anche religiosa con l’obiettivo, da sintetizzatore, di indicare un percorso. A volte leggendomi vedo una svariata connotazione profetica, a volte invece preferisco utilizzare la tragicommedia. La cosa certa però per me è che, con il crollo di quelle certezze che vi erano prima, il ritorno preponderante di una Tragedia possa esserci. Il novecento, con l’inclinazione nichilista del super uomo ha reso tutto Dramma, è caduta una punizione che non fosse prettamente umana, ma divina: la tragedia non ha ragione, ha solo azione. Nell’inclinazione futura credo e spero che, come cerco di definire io con i miei appunti critici e la mia opera teorica l’antiuomo, con il crollo dell’individuo si crei una punizione drammaturgica quasi divina. L’Africa avrà uno sviluppo incredibile, secondo me, per tutto questo. E l’avrà anche l’Occidente. Solo che credo che nella dimensione consumistica la punizione sarcasticamente sarà una punizione fantoccio.


Conosci meglio le gioie o i dolori della tua vita?
I dolori (ma spesso le gioie). Poiché dolore e gioia, la logica non lo dice, ma sono la stessa cosa, o meglio, sono marito e moglie.


Per quale punto di vista la quotidianità non si lascia raccontare?
Confesso che, a mio avviso, questa è la più bella domanda che mi si potesse fare! Il quotidiano si può raccontare, tanti l’hanno fatto e tanti lo fanno: se si fa, si può (l’ho fatto anch’io in Litanie, a esempio). Ma, come per ogni cosa, è il come, è il pensiero che sta dietro. Ripeto da tempo che sono contrario alla poesia diaristica del quotidiano, poiché è spiccia, è priva di una costruzione, se mi è concesso dirlo; e io odio le cose spicce, ma poi un giorno mi trovai dinanzi ai libri di Ambra Simeone e dissi “cazzo, questo sì che mi piace”. Ma perché? Perché c’era una struttura che sfociava nella destrutturazione del testo e nella sua prosa rivedevo quello che chiamo “sospensione”. Eppure ce ne son pochi, poiché pochi per me pensano quando fanno qualcosa. Ma non è vero che non si può. Le maschere pirandelliane erano quotidiane, o meglio, erano la distruzione di quel quotidiano. L’Ulisse di Joyce è la matrice del quotidiano. Dico insomma allora che si deve parlare del quotidiano… di contro il rischio è di essere alienanti. E non scherziamo, la quotidianità mica può dirti “Uè ciccio, oggi non mi racconti”. Sei tu che decidi. L’ostacolo sarai sempre e solo tu.

La poesia logora romanticamente le decisioni definitive dello scrittore o del lettore?
Di entrambi.

La “responsabilità dei terzi” come la s’identifica culturalmente?
I terzi culturalmente possono annebbiare un’opera o innalzarla: alla fine sono i terzi a fare l’opera, non gli autori, poiché sono i terzi a nominare l’autore.

Considerazioni sulla poetica di Valerio Pedini

La letteratura secondo questo giovane poeta si sta riducendo in una sorta di lamentela, pubblicabile da qualche perdigiorno incapace anche di stare in pace con l’apparato riproduttivo, a tal punto d’amplificarne la volgarizzazione.

Le parti intime mettono in repentaglio l’attività mentale fin dall’inizio di un giorno nuovo, scoraggiando un intero pianeta di esseri viventi sopraffatti da dichiarazioni di sole parole, dal riavvolgimento della memoria per cronache dettagliate, aventi come protagonisti spesso e volentieri degl’imbecilli che sfamano il tempo passato.

L’indice di mortalità è ad appannaggio dei perdenti, è in programma, e non v’è sollecitazione per chi vuol sopravvivere, trafitto da testimonianze che si alternano coi pettegolezzi circa una mancanza di coperture per l’eternità.

Pedini non ha intenzione di rimediare la presunzione d’insegnare come esporre un concetto, semmai invita a riflettere sugli strumenti per comporre, che si stanno allontanando dalla loro semplicità.

Talmente presi dal pensiero in odor di bruciato, di diffusione, non ci accorgiamo che dipendiamo eccessivamente dal mondo virtuale, e guai se si dovesse interrompere la comunicazione, ch’è tutto tranne che diretta, umana, comportando condanne ristrette agli sbalzatori della tecnologia.

L’orrore consiste nel decantare le proprie gesta, e non resta che promettere di tempestarlo di prestazioni sessuali, trascinanti.

Esprimersi da rapaci intellettuali oggi è come defecare in maniera anomala dopo aver ingerito l’indispensabile per crescere moralmente, passivi a un Dio univoco, dunque costretti a soddisfare personaggi senza il benché minimo riserbo, che volgono alle sconcezze più assurde, che svaniscono nell’irrisorietà dell’egocentrismo; superiori a un qualsiasi, sincero atto di fede, tanto da prendersi sul serio.

Valerio decanta con un’ironia di forbito linguaggio il disprezzo per autori emergenti ma per niente intraprendenti, predisposti magari a dettare il buon esempio, desiderando di abbattere i complessi d’inferiorità, ma che non vogliono conoscere l’umiltà.

Il poeta è in grado di fingere d’esserne il seguace, rimandandogli piuttosto alla loro leggera andatura, arrabbiato per come costoro non sappiano sacrificarsi, coltivando davvero delle esperienze di vita, ma nonostante ciò portatori di successo nel bel mezzo delle banalità, e per giunta con la puzza dell’ignoranza sotto il naso.

Ma, se si rasserena, Valerio Pedini li annienta in un sol boccone, rievocando l’educazione alimentare, esasperante, tipica degli anglosassoni, culturalmente ricercatissimi (ma in fondo è solo apparenza!).

La maledizione è alla portata di una considerazione di sé che s’ingigantisce non riuscendo a scaricare tensioni, per un torto passionale che deve uscire fuori da quel che si è in continuo movimento.

Le domande esistenziali si liquidano, e il poeta invita confidenzialmente alla dannazione del Prossimo, centellinando una discriminazione istintiva, mortale, con l’incontinenza, dovuta dall’aver vissuto la fisicità di un individuo, a segnare i percorsi della chimica.

La melodiosità della disperazione umana si rifinisce al margine della riflessione sull’attrattiva di carattere sessuale, che può influenzare un singolo e poi un’intera collettività drammaticamente.

Col dorso sconvolto di un uomo che non può fare a meno di diventare grande, si arriva esanimi al culmine di una dimensione terrena che non si tira a lucido, scoprendo così una condizione ambientale nefasta, da cui fuggire aspirando al benessere sociale oramai stravolto.

E si ride per non piangere, ma ci s’incattivisce a forza di reagire, seccando in pratica, e soprattutto l’intimo, a scapito di un sistema nervoso che irrigidisce per sciogliere un’intesa meravigliosa di tanto in tanto, da custodire tutelandosi in maniera indefinita, selvaggia.

Il bianco e il nero si confondono, non cercando più d’irrobustire una lesionata collocazione si realizza la tentazione di farla finita con piacere, di nascosto, tra le abilità di chi t’affianca.

“M’infarino nel petrolio
nelle ossa legnose di una terra tumefatta
e con i tentacoli della morte
scavo trincee nel tuo cervello, per morirci dentro… entusiasta”

Le invocazioni naturali rimbombano dentro un Valerio Pedini da stimare, che si complessa in prima persona, con un talento creativo ammaliante, da incoraggiare nella piena, allegorica maturità, nel perenne disagio che l’attualità arreca, da cogliere davvero, con un orgoglio idolatrante, come a concepire la sapienza temendo il peggio, la luce nel dissolvimento del passato, sensibile all’esaurirsi delle vanità.

Per una fenomenologia intaccata dall’erotismo, per una mostruosità di femminea padronanza che deve divorare l’intelletto del poeta affinché l’ego scuota il creato.

Convinti di evaporare prima o poi e di non misurare più alcuna forma d’assenteismo, non diamo importanza al nostro respiro, i polmoni si deteriorano, e traspaiono significati a noi eternamente cari, pendenti sul disordine maligno che ferma una qualsivoglia rinascita dell’essere non solo poeti, bruscamente spettacolarizzato, urlandolo senza riuscire a fare clamore, con l’immaginario da rimettere in sesto per una profondità oggettiva da intuire necessariamente.

“…sangue raffermo
nello specchio dell’io…”

Il poeta mi si offre smaniosamente, raccontando di pessime, storiche vicende, quelle che accadono sul serio, a sovrani dal potere esagerato, antico… tra questi per esempio v’è uno che rimane offeso mentre si riposa sotto l’eccezionalità del Sole!

Da ciò, si rileva il debellamento dell’essere e la triste liberazione di possedimenti che alla fin fine non è mai risultata insolita.

Aggredita la persona, si ricorre a ulteriore violenza, con squartamenti di vittime ben presto distribuite come prelibatezze, con una lussuria decadente che non permette di dare adito ad alcun punto di vista.

“…e la pappa reale fu servita
sul piatto d’oro di un universo scadente”

Il consolidamento del “tempo che fu” nei resti dell’ego sembra doveroso, concede il reflusso dell’inutilità, lo sterminio di deprecabili generi di vita, sancendo delle predominanze in riproduzione indegna, come a volgere sicuramente al sereno.

Per ragionare apprendendo che il peggio deve ancora venire, per erigere una materialità ineguagliabile, con testi scritti piacevolmente, ma che offuscano una naturale soluzione energetica, e fulminano una seduzione di donna sopraffatta dall’uomo, che esce fuori dal moto universale delle cose.

                                                                                                                             Vincenzo Calò

giovedì 6 aprile 2017

Vincenzo Calò ci presenta Francesco Borgia e il suo"Ridente Lucciola"


Ma chi è
Francesco Borgia…

Francesco Borgia (Roma, 1976) si è laureato in Filosofia all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.



E’ dottore di ricerca in “Scienze bioetico-giuridiche” presso l’Università degli Studi di Lecce.

Ha collaborato con diverse riviste, tra le quali “Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto”, “L’arco di Giano”, “Il Cannocchiale”.
Per le edizioni Mimesis ha pubblicato i libri “L’uomo senza immagine. La filosofia della natura di Hans Jonas” (Milano, 2006) e “Appartenenza e alterità. Il concetto di storicità nella filosofia di Martin Heidegger” (Milano, 2008).

Benvenuto Francesco. I tempi sono maturi per avere la forza di essere sé stessi?
I tempi non sono quasi mai maturi per essere sé stessi, ma è sempre un bene esserlo.

La lussuria è di una goduria, un gusto sempre più diverso?
La lussuria è l’estremo negativo della goduria, che in sé non è negativa.

Mi racconteresti di un genio che hai visto sorbirsi l’indifferenza?
Oggigiorno assistiamo a una crisi profonda di idee e progettualità. In sostanza non si scommette né si investe su di esse. Il genio, inteso in senso kantiano, ne fa le spese. Se a tutto questo aggiungiamo la forma individualistica di cui la nostra società è preda, e l’incapacità o la scarsa volontà di porsi in sintonia con ciò che è altro o nuovo, beh, ecco l’indifferenza verso il genio. Paradossalmente, credo che questo sia il racconto di una storia tipicamente moderna.

Cosa ti giunge di nuovo, e da dove?
Di nuovo mi giunge ben poco. Vedi il discorso di prima. La gente oggi si orienta verso cliché di massa.

Ti basta pigiare un pulsante e…?
Ti sembra di avere tutto il mondo a portata di mano…

A chi o cosa non riesci proprio a credere, e perché?
In generale, penso che sia un atteggiamento più positivo il nutrire fede piuttosto che la diffidenza o la poca speranza. Non riesco proprio a credere ai modi facili e veloci verso i quali la nostra società ci induce.

Parli come scrivi? Poetare aiuta la consapevolezza in riguardo ai tuoi convincimenti?
Sicuramente la mia poesia scaturisce da convincimenti sinceri.

L’originalità di una critica, secondo te, da quale tipo di lettura dipende?
Da una lettura fatta con occhi attenti e onesti.

Ridente Lucciola (Andrea Pacilli Editore)

La delicatezza consiste nello stare appesi al ramo di un albero qualsiasi della Felicità, e la si dedica a un essere di luce che si accende e si spegne, spostandosi con leggiadria tra episodi di particolare rilievo, con vari modi di comprendere la più bella e misteriosa delle emozioni, auspicando a intensificare pagine da sfogliare decisamente per il bene comune, senza sprecare alcun respiro.

La forte durevolezza della parola si percepisce come distaccata, tra il poeta e il lettore, ma nonostante ciò il compimento della Passione non viene trascurato, e sei libero di lasciarti prendere dalla malleabilità della forma della parola, così netta e sincera ch’è un peccato non farla emergere, alla maniera di esponenti quali Pedro Salinas o Umberto Saba.

Con una travolgente dinamica scorgi le profondità dei sensi, ci arrivi, non trasgredendo l’armoniosità di una modulazione cardine, di frequenza cardiaca, e letteraria di conseguenza; non spodestando il lessico.

Il componimento si rimpicciolisce ma non si sminuisce, perché l’autore preferisce immaginare degli elementi naturali sferzanti, in proporzione; e la contemplazione sembra magica stando alle vibrazioni del Creato, delle sue finalizzazioni che pullulano di quel romanticismo caro a un Giacomo Leopardi.

Dall’alto, il desiderio di un contatto fatale sembra divertirsi nel sedurre un atto di fede per volta, già scandito brillantemente.

L’anima è ferma all’effusione compiuta, e ci perdiamo nella vista accurata, si raggiunge la reciprocità, come prede di riferimenti infrangibili, universali.

L’intuizione amorevole non cessa mai, smussa i dubbi che ti fanno precipitare nella solitudine di un gesto affettuoso, sia a caldo che a freddo.

La tenerezza viene elaborata d’impatto, risaltata interiormente, e a fine giornata lentamente si dissolve, nella trasparenza di una concessione, a purificare l’ossigeno, per non oscurare alcuna illusione aldilà di tutto.

Bagnati di coscienza, i nervi si assopiscono, e l’istinto animale volge alla meraviglia, si chiude nella volontà centellinata al congiungimento delle stelle, con le aridi sospensioni terrene.

“d’acqua brucerai l’incendio”

Vicini come lontani, con una complicità spoglia, un’intimità straordinaria, che ottenebra per risuonare al naturale perennemente.

Al ritorno della Luna, accade che l’umanità diventa indispensabile, va oltre l’immaginario con piacere, profuma le correnti.

I limiti vengono lambiti apertamente dal mutismo generico, e non puoi fare altro che spaziare in un cenno d’intesa, flebile dovendolo confessare, ma mai in malafede.

Il dolore di un uomo si accentua se nulla si muove.

La dipendenza dall’amore si realizza di riflesso, con le vite che si fondono per navigare allo spuntare del Sole, senza mai fermarsi, le ovvie paure di sbagliare e generare sconvenienza; puntando sensibilmente in alto, trascinati dal piacere di andare incontro alla bellezza, da un vento di pensieri.

L’anima tormentata riconduce al pudore confidenziale, all’incredibile quiete facente scuotere gli astri, e nel buio della maturità avverti l’intoccabile presenza di un moto consequenziale, con la pelle sinonimo d’approdo e la fede disciolta nell’unicità d’intenti.

Cogli, nel cambiamento delle prospettive, il debellamento della soavità di un contatto, che appartiene rigorosamente all’altra metà; l’energia sa ora di peccati di cui accorgersi di slancio, come a rifiorire speranzosamente, liberamente, per non accontentarsi di una sola relazione, non facendo trapelare alcun stato d’animo, rigettando nell’ignoto quanto offerto, ossia l’altrove che si lascia comunque possedere per smussare il disagio globale, e rimanere nuovamente attratti da una Lei.

Miri la timidezza racchiudibile in una destinazione irrefrenabile ed esterna alla dimensione che occupi; l’altalenante bisogno da rendere suggestivo, benevolo, una volta scaricati dal trend giornaliero, constatando la disperazione da ricomporre al tatto, la falsificazione della passione da incutere.

Ci si vede allora immotivati e pertanto imprescindibili, abbiamo un aspetto derivato dall’osservazione spasmodica, che contiene minuscole solitudini da collegare nel firmamento, in mobilitazione, per l’eternità che si scopre senza mai deludere, per l’ambizione da degustare, dolceamara e impossibile da proibire.

“gli occhi suoi sono senza perché
perché sono amore”

Sì, l’amore è un principio d’iniziativa da surriscaldare, a costo di capire più nulla, di bruciare apparendo fenomenali, per tornare a dormire come fanno i bambini, senza preoccuparsi del cielo che si copre.

Questo poeta è un regalo che non si smette mai di scartare, per non dover banalizzare uscendo sempre allo scoperto; la sua decantazione spicciola e nient’affatto aggressiva del sentimento somiglia a quella di Aldo Palazzeschi, con quell’angoscia che corrisponde al richiamo sessuale, necessario per sentirsi di stare insieme con una persona.

Stare bene vuol dire affidarsi a storie d’amore che devono pur cessare, con una lei che sboccia incontrastata, che ti annienta le riserve dominando un chiaro legame da custodire essendo disincentivato per dover sopravvivere come degl’inguaribili materialisti.

                                                                                                                    Vincenzo Calò

RECENSIONE FILM: The ring 3



BOX OFFICE ITALIA: €1661602,00

DATA USCITA: 16 Marzo 2017
GENERE: Drammatico, Horror
ANNO: 2017
REGIA: F. Javier Gutiérrez
ATTORI:
Matilda Lutz: Julia
Johnny Galecki: Gabriel
Aimee Teegarden: Sky
Zach Roerig:Carter
Alex Roe: Holt
DISTRIBUZIONE: Universal Pictures
DURATA: 117 Min


TRAMA

Nel terzo capitolo della saga horror di THE RING, una giovane donna comincia a preoccuparsi per il suo ragazzo quando lo vede interessarsi ad un'oscura credenza intorno ad una misteriosa videocassetta che si dice uccida dopo sette giorni chi la guarda. Si sacrifica per salvare il suo ragazzo e nel farlo scopre qualcosa di orribile: c'è un "film dentro il film" che nessuno ha mai visto prima.



RECENSIONE

ATTENZIONE SPOILER!

Lo ammetto, questo film è un po' una scemenza. È il terzo di una serie di horror ormai molto famosa, il primo film tuttavia è l'unico che davvero abbiamo una qualche (ma poca eh) plausibilità. Già il secondo non è che un continuo del primo, la novità ormai è passata, ci si concentra per di più sull'origine di Samara e su ciò che l'ha trasformata nel demone del pozzo. E lo stesso si fa nel terzo, ma siamo ormai nel 2017, la tecnologia domina il mondo ed un filmato registrato su di una videocassetta non lo guarderebbe più nessuno.
Come risolvere il problema? Grazie a qualcuno che sia capace di trasferire il video dalla VHS al computer. Fatto ciò il filmato diventa virale e vi lascio immaginare le conseguenze. È già qui la cosa non è molto convincente, ma è passabile. Se non fosse che (chissà come) il primo ad aver visto il video viene a conoscenza del fatto che, se qualcun altro lo guarda prima dello scadere dei sette giorni, allora il conteggio comincerà da capo per quest'ultimo e solo alla sua morte toccherà di nuovo a chi l'ha preceduto. Si dà vita in tal modo ad una catena di persone che guardano il video una dopo l'altra.
Va beh, non è il massimo già così, metteteci poi la protagonista prescelta condotta dal fantasma sulle tracce delle origini di Samara, che per di più riesce a fermare le morti (almeno apparentemente) scoprendo la verità su sua madre e capirete perché dico che questo film è una scemenza.
Detto questo tuttavia devo ammettere che visto in un cinema l'effetto non è male. Tralasciando un po' la trama, qualche salto dalla poltrona è assicurato, come anche certamente gli attimi d'ansia e suspence che fanno trattenere il fiato. Nel complesso quindi devo dare atto che come horror non è brutto, basta non fare troppo caso alla storia discutibile e godersi un po' di sano spavento.

Buona visione
E.

sabato 1 aprile 2017

RECENSIONE: Senza rimpianto


TITOLO: Senza rimpianto 

AUTORE: Meredith Wild

EDITORE: Newton Compton

COLLANA: Anagramma

SERIE: The Hacker Series

PUBBLICATO: 02/01/2017

PAGINE: 288

PREZZO: €9,90






RECENSIONI PRECEDENTI:



TRAMA

Qualche giorno dopo il loro matrimonio, Blake e Erica Landon partono per il viaggio di nozze, un momento molto atteso da entrambi, e che sperano serva a rafforzare il loro legame e a cancellare le ferite del passato. Ma proprio quando sembra che i problemi siano superati, si scatena uno scandalo in cui è implicato il candidato governatore Daniel Fitzgerald, che minaccia la loro pace ritrovata. Appena tornato a casa, Blake si trova coinvolto nella faccenda ed è terrorizzato dal fatto che possa venire a galla il suo passato di hacker. Il rischio che questo pantano mediatico inghiottisca anche Blake è forte ed Erica non si ferma davanti a nulla per cercare di tirarlo fuori. Ma quando Blake si rifiuterà di collaborare con gli inquirenti la complicità che li univa piano piano comincerà a sgretolarsi Erica cercherà allora di fargli cambiare idea, visto che la posta in gioco è la loro felicità presente e futura, ma Blake è davvero ossessionato dal suo misterioso passato Meredith Wildè un'autrice bestseller del «New York Times» e di «USA Today», tradotta in molti Paesi. Vive a Boston con il marito e i loro tre figli. Ha esordito nel self-publishing prima di firmare un importante contratto con il gruppo editoriale Hachette. Nel 2015 ha fondato la Waterhouse Press, piccola ma aggressiva casa editrice indipendente. Con la Newton Compton sono usciti Senza difese, Senza colpa, Senza pentimento e Senza controllo, i primi quattro capitoli della Hacker Series, un successo mondiale.



RECENSIONE

Eccomi qui a parlarvi ancora di una coppia ormai ben nota ai lettori di “l’odore dei libri7”, Erica e Blake Landon. Siamo infatti giunti al quinto e purtroppo ultimo capitolo della “The Hacker Series” e ve ne parlo un po’ a malincuore, mi spiace molto dover lasciare questa coppia, mi mancheranno.
Inizialmente il libro non mi aveva presa molto (come tutti gli altri), c’era qualcosa che mi lasciava un po’ indifferente, ma dato che ormai conosco bene Meredith Wild sapevo che non mi avrebbe mai delusa ed eccomi qui travolta da un colpo di scena che mi ha lasciata senza fiato e mi sono trovata nuovamente incollata al libro, divorandolo.

ATTENZIONE SPOILER! SE NON AVETE LETTO I PRECEDENTI VOLUMI NON LEGGETE!
(Se non leggete bene evidenziate il testo seguente tenendo premuto il tasto sinistro del mouse)

Dopo le nozze tra i due protagonisti e la sparatoria che aveva “condannato” la loro vita coniugale, costringendoli con la probabilità del 95% a restare una famiglia composta da sole due persone, cos’altro poteva raccontarci la Wild?

Devo comunque dire che sono stata un po’ più sveglia di Erika capendo già da subito come poteva evolversi la lettura, ma se capisco una cosa non vuole dire che io abbia capito tutto, è esattamente tra la frase “comunque l’avevo già capito” e “vabbè quindi andrà a finire così” che Meredith ti versa una bella secchiata d’acqua gelida e tu non sai più cosa aspettarti. L’adoro proprio per questo! La sua scrittura è paradisiaca, i colpi di scena non mancano mai e riesce a creare dei mix perfetti tra storie d’amore dolci, erotismo ed un pizzico di thriller. La suspense è proprio il segno distintivo di questa serie!
Una lettura incredibile e piena di colpi di scena, esattamente come i quattro volumi precedenti, ma a differenza di quest’ultimi vedremo un Blake diverso, più umano e fragile, mentre Erica si dimostrerà ancora più tosta, risoluta, forte e determinata.
È la giusta conclusione per una storia d’amore intensa e passionale come poche, un libro emozionante, avvincente e con un finale non proprio scontatissimo e anzi che a me è piaciuto, ma allo stesso tempo mi ha lasciata un po’ l’amaro in bocca, un finale agrodolce ecco come lo definirei! Per capire quello che voglio dirvi evitando lo spoiler, dovete leggere il libro.
Ve lo consiglio vivamente, ovviamente solo dopo aver letto i precedenti dato che la serie è composta da ben cinque libri che vedono protagonisti unicamente la stessa coppia. Detto questo, per chi di voi potesse anche solo pensare che alla lunga questa serie possa stancare, sembrando solo un’infinita ripetizione di fatti e cose, insomma un brodo allungato, si sbaglia di grosso e basterà acquistare il primo volume per cambiare immediatamente e decisamente idea.
Non posso non consigliarvi questa serie, è una delle mie serie preferite ed in più neanche uno di questi cinque libri mi ha delusa. Ottimo e complimenti all’autrice e alla casa editrice Newton Compton che ci ha portato Erica e Blake in Italia. Grazie.

Vi auguro una buona lettura
Vi abbraccio
C.

P.S: L’autrice al termine di questo quinto volume ci ha lasciato un regalo grandissimo, che personalmente ho apprezzato moltissimo ed ho sorriso molto. Voglio preannunciarvelo dato che so che è uso comune di molti lettori andare a spulciare il termine del libro, NON FATELO! Vi consiglio di attendere la fine, vi godrete questo regalo un miliardo di volte di più! Fidatevi!